Conservazione preventiva e stabilizzazione dei reperti archeologici
Al momento dell’esumazione di un reperto archeologico, i cambiamenti dei parametri di conservazione, come l’aumento dell’ossigeno e la variazione del tasso di umidità relativa, sono all’origine dei principali fenomeni di deterioramento. Le reazioni al nuovo ambiente saranno più o meno problematiche a seconda del o dei materiali di cui il reperto è composto. In generale, sono gli oggetti in ferro e i reperti organici che reagiscono maggiormente ai cambiamenti ambientali.
Un’azione di conservazione preventiva deve dunque essere messa in atto dal momento dell’esumazione dell’oggetto per preservare la materia e le informazioni che questa può fornire.
Il nostro intervento consiste in diversi metodi di conservazione e stabilizzazione preventive o curative, al fine di evitare la perdita dei reperti:
Condizionamenti con umidità controllata o anaerobici
Trattamenti di passivazione dei metalli con inibitore di corrosione
Trattamenti di asciugatura controllata dei resti organici
Trattamenti di declorurazione al solfito alcalino per i reperti ferrosi
Trattamenti di declorurazione al sesquicarbonato di sodio per i reperti in lega di rame
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La corrosione attiva dei ferri
Durante l’interramento, l’insieme degli ossidi ed idrossidi di ferro che compongono gli strati di corrosione degli oggetti ferrosi possiede una stabilità molto variabile nel tempo e può reagire a contatto con alcuni anioni, come i cloruri (Cl ̅) presenti nel suolo.
I cloruri, grazie alla grande mobilità che li caratterizza, tendono a migrare verso l’anodo. Si crea, quindi, una forte concentrazione di ioni Cl ̅ alla superficie del metallo sano, così da generare una corrosione locale accelerata.
Al momento dell’esumazione di un oggetto, i cambiamenti dei parametri di conservazione provocano nei pressi della superficie metallica e nelle fessurazioni una rapida ossidazione degli ioni Fe2+ in presenza di ioni cloruri.
Tale ossidazione dà inizio ad una trasformazione dei prodotti di corrosione instabili e genera una nuova corrosione che, ciclicamente, porterà alla distruzione del metallo soggiacente, creando fessurazioni, rigonfiamenti e sfaldamenti, in un periodo di tempo variabile da pochi giorni (per gli oggetti provenienti da scavi sottomarini) a diversi decenni. Questa corrosione, detta attiva, è un processo irreversibile.
Per queste ragioni il processo di declorurazione con solfito alcalino è oggi il più utilizzato in Europa, con 20 anni di efficacia alle spalle. E’ un processo, tra l’altro, relativamente poco oneroso e semplice da attuare.